Cancro al seno: il percorso della cura. L'esperienza di una omeopata

Cancro al seno: il percorso della cura. L’esperienza di una omeopata

by / domenica, 02 agosto 2015 / Published in Archivio, Senza categoria
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Raffaella firma corta

Nella mia esperienza quotidiana come persona e come professionista quando incontro donne con diagnosi di tumore al seno o donne che sono terrorizzate di verificare se sono portatrici di tale tumore, il concetto di “Embodiment” è la meta a cui tendere.


Quando la donna-paziente si  permette-autorizza di sentire il suo corpo,di percepirlo, di riprendere una sorta di ascolto e di colloquio che si era sfilacciato, la  possibilità di fare un pezzo di percorso insieme è ampia. Diventiamo due per sapere due per guarire. 

La competenza della sofferenza della paziente e la competenza della terapeuta si alleano per fare  il percorso che ognuna è chiamata a fare. Per quel che potrà fare. 

 Ho imparato che noi donne produciamo il cancro al seno maturandolo molto tempo prima.  Iniziamo lentamente col separarci dal corpo, dai sentimenti, e dalle emozioni.  Il contatto con la vita, con l’energia dentro di noi diventa rarefatto.  La sofferenza, percepita o no, di cui non abbiamo neanche più memoria, si contrae e si stratifica lì,  si localizza e si materializza.

 La negazione e la rimozione della propria sofferenza, l’impossibilità e incapacità di reazione, la paralisi e l’irrigidimento nel trauma e nel dolore, l’evitamento del conflitto, l’incapacità di esprimere i propri bisogni perché non riconosciuti, né ascoltati più, la perdita del contatto con il nostro sé più intimo, la perdita di flessibilità,  di capacità ai cambiamenti ambientali, sono le proprietà che osservo sempre nelle donne che si ammalano di cancro, in special modo nelle donne che si ammalano di cancro al seno.

 A volte c’e stato un tradimento o separazione subita e “i figli erano  piccoli  e richiedevano molte cure e non c’era il tempo né lo spazio per ascoltare la propria disperazione…poi i figli crescono, inizia un periodo meno angoscioso persino sereno e arriva il cancro”. Queste donne hanno dedicato ai  sogni  di relazione amorosa e di famiglia tutte le loro energie: la delusione affettiva è talmente profonda, intima, che una parte di loro muore di dolore.

 Donne profondamente infelici che  colpevolizzano il partner o le persone più intime, le fanno patire  e infieriscono senza tregua, non accettano, non perdonano le debolezze dell’altro, ne controllano ogni pulsione hanno una personalità su cui l’evento fisico anche banale come un trauma contro uno spigolo o la cintura di sicurezza durante un tamponamento in auto, può produrre un nodulo duro come una pietra in pochissimo tempo.

 Donne che trascinano la loro esistenza in silenzio, che hanno rimosso il dolore e la paura della violenza per non sentire quanto sono morte dentro hanno il corpo che concretizza quel dolore e quella paura e li traduce in cancro. L’esperienza vissuta  è rimossa, il corpo non la cancella, si contrae e si scollega e lì, dove si materializza, inizia una vita sua separata e isolata dall’organismo.

 Donne che vivono una solitudine affettiva-sessuale in cui il seno è un organo di speciale fonte di piacere erotico, se costantemente e per anni sono “scartate”, possono sviluppare carcinomi.

Donne che si sono sottoposte a terapie ormonali per inseminazioni fallite,  madri interrotte per lutti pre e perinatali, possono sviluppare cancri al seno, poiché al trattamento farmacologico impegnativo si associano fallimento e sofferenza emotiva inimmaginabile.

Lo shock iniziale che fa seguito  alla diagnosi di tumore fa percepire che il tempo e la vita stanno per scadere. Ogni persona reagisce con le sue modalità. Per alcune donne può iniziare un processo davvero commovente oltre che interessante: il  “ri-trauma”    attiva/risveglia mente e corpo all’unisono, il tutto si mobilita per raccogliere le informazioni di vita e di morte   dentro e fuori di  sé. Inizia l’assunzione di  responsabilità della propria vita e della propria morte. Inizia ad essere percepita intimamente quella particolare attitudine di ascoltare gli “esperti” e di scegliere ciò che viene percepito come “buono per la propria vita”. Queste donne da pazienti  si trasformano in  protagoniste della propria esistenza.

E’ a questo punto che la dimensione di embodiment di corpo e mente incarnati,  che pensano e percepiscono insieme, che dirigono ogni pensiero, ogni percezione  verso il voler “salvare la vita” diventa concreto.  Il percorso nel quale la donna è accompagnata e sostenuta dal terapeuta, può rivelarsi un’esperienza di  vitalità sorprendente, indipendentemente dalla terapia che le pazienti scelgono.

“…ammalarsi (uscire fuori dall’equilibrio) e guarire (ritornare all’equilibrio) sono entrambi parte integrante  dei processi della vita, e se tali processi sono caratterizzati dalla cognizione, allora i processi di ammalarsi e di guarire possono anch’essi essere considerati processi cognitivi. Ciò significa che c’è una dimensione mentale in ogni malattia, anche se spesso risiede in una dimensione inconscia. (“Vita e natura una visione sistemica” F.Capra – P.L.Luisi)

La possibilità di poter ritornare a sé, di percepire il proprio essere come guida principale da seguire, è una opportunità straordinaria che molte donne desiderano vivere quando ricevono la diagnosi di cancro al seno. E’ come se scomparissero tutti gli alibi e tutte le titubanze di una vita vissute fino all’istante della diagnosi di tumore. Nel mio percorso insieme a loro, le decisioni riguardanti la loro esistenza e le scelte sulle proposte di cura passano attraverso la presa di coscienza, di responsabilità e di sapere condiviso, passo dopo passo.

Ho incontrato donne che vivevano matrimoni sbrindellati, ma non avevano la forza di aprire la crisi; donne che lavoravano come schiave ma non avevano la forza di cercare un nuovo lavoro, donne infelici del luogo in cui vivevano che non avevano il coraggio e la forza di lasciare la casa dei genitori;  donne mercificate, donne arroganti e donne mortificate che in seguito alla diagnosi di tumore hanno ribaltato la loro vita e hanno ricominciato a riprendersela in mano.

  In ogni donna ho compreso il bisogno di essere ascoltate nel senso vero: esprimere le paure più recondite, più piccole, senza essere giudicate, essere credute, essere prese sul serio; ricevere spazio e tempo di ascolto per ogni loro sintomo e ogni loro sensazione; essere tenute per mano e trovare in sé, attraverso me, il filo rosso della loro vita, che si era sfibrato.

Ho imparato che ognuna di loro è a sé, che ognuna ha un contatto maggiore e sente di più alcune parti del corpo e altre  meno; che il desiderio di risentire le proprie viscere con fiducia non è per nulla semplice e a volte è talmente doloroso che si preferisce vivere anestetizzate. Con ognuna è stato possibile parlarsi guardandosi negli occhi e dicendosi quando dovevamo fermarci. Abbiamo percorso sentieri inesplorati e abbiamo verificato insieme che non è poi così facile morire anche con il cancro avanzato.

Nella mia pratica  invito sempre i miei pazienti  a dare importanza all’energia di vita che il corpo amplifica anche attraverso l’attività fisica quotidiana. Sono convinta che  l’equilibrio tra attività corporea e attività creativa quotidiane ci renda più elastici, flessibili, contenti e vivi.

Le donne che hanno cancro al seno le incoraggio a fare terapie psico-corporee, bioenergetica, yoga, ecc. tutti i giorni per il tempo che riescono a sostenere. Osservo che avere la percezione della forza e della vitalità del  corpo anche quando il seno è afflitto da ulcere nauseabonde, da dolore e da limitazione funzionale, dà la determinazione e la fiducia di resistere e guardare un po’ più in là.

Visito sempre le mie pazienti,  tocco le loro ferite, le annuso, ne imparo il comportamento. Ci soffermiamo, accogliamo, incontriamo le varie sensazioni e limitazioni: il ribrezzo, la nausea che a volte l’odore del cancro produce, la limitazione del respiro e del movimento, l’impossibilità a nutrirsi e digerire. Le pazienti imparano così a stare dentro il corpo a non evitarlo e questa credo sia la parte più difficile e delicata da accettare. 

Imparare a seguire l’odore del cancro, il suo esacerbarsi e il suo attenuarsi fornisce un parametro soggettivo sul suo andamento. Toccare il cancro conoscerne la durezza del tessuto che si sclerotizza e aderisce alle coste, che riduce la possibilità di espandere la gabbia toracica e perciò di respirare, ci mette nella possibilità di contrastare dall’interno questo processo, portando il respiro e l’espansione dall’interno in questi segmenti corporei che non ricevono più ossigenazione sufficiente. Impariamo a entrare nel cancro, nella sua fisicità, nella sua potenza e impariamo a non soccombere ad esso, a “starci dentro”. E’ un percorso complesso, silenzioso, umile ma possibile.

Non solo il carcinoma, anche malattie come la Sclerosi multipla, il Parkinson, malattie che invalidano per lunghi periodi, travolgono la vita della donna e di coloro che vivono intorno a lei.

La complessità della situazione richiede una indagine conoscitiva individuale analitica e accurata. Ognuna è a sé. Ogni realtà è peculiare e richiede interventi specifici sia sul piano strettamente sanitario, sia sul piano ambientale e sociale.

 Ci sono donne che desiderano essere letteralmente prese in braccio, adottate. Ci sono donne che non desiderano modificare nulla delle responsabilità che le fanno sentire utili e motivate a vivere e che hanno assunto soprattutto verso i figli e o i genitori anziani e non autosufficienti.

Ci sono donne che hanno bisogno di essere aiutate a ritrovarsi, poiché lo shock della notizia di essere portatrici di cancro  le getta in una confusione severa, nel terrore di morire, nella disperazione.

Ancora una volta dobbiamo prendere atto che ogni vita è una vita. Ognuno reagisce in modo differente, e  ogni donna malata necessita di una presa in carico specifica, individuale. Non riesco ad immaginare protocolli da rispettare ma solo esseri umani, donne da ascoltare e da curare. 

In concreto occorre fare una indagine conoscitiva sullo stato reale della persona e dell’ambiente in cui vive, trovare insieme i nodi che le impediscono di vivere la sua condizione di donna portatrice di grave malattia. Vanno cercate insieme soluzioni che modifichino la realtà anche di poco, ma costantemente e che quindi devono via via adattarsi ad essa; soluzioni che introducano leggerezza, flessibilità, amorevolezza, consapevolezza. E’ fondamentale darsi piccoli obbiettivi quotidiani raggiungibili, fare insieme la valutazione dell’andamento e apportare le modifiche necessarie, autorizzarsi a cambiare piano di cura qualora la terapia si mostrasse troppo invasiva, con effetti collaterali seri, avere un punto di riferimento a cui poter rivolgere i propri dubbi sempre.

Come terapeuta osservo che alcune donne hanno bisogno della mia reperibilità certa, giorno e notte, altre chiamano solo se veramente bisognose. In ogni caso il bisogno più manifesto ed urgente è quello di poter trovare ascolto, un farmaco che lenisca il dolore, e sapere come riconoscere quando la morte si avvicina. Una Medicina Centrata sulla Persona è quanto di più auspicabile si debba pretendere. L’essere umano ha diritto a preservare la sua dignità, le sue idee, il suo modo di sentire il linguaggio del corpo, in salute come nella malattia, tanto più quando la sua vita è in pericolo e si avvia verso la morte: non è sensato ostacolarlo o addirittura impedirlo.

Che cosa mi chiedono le donne che si rivolgono a me in quanto omeopata? Di continuare a vivere! Perché hanno bambini piccoli, perché hanno un innamorato, perché hanno un lavoro importante da concludere… pochissime partono dal loro diritto alla vita.

Il colloquio e la visita omeopatica, per definizione, incoraggiano la persona a scandagliare la realtà: da dove è iniziato il malessere, quando ha iniziato a percepire la mancanza di energia vitale, quando i pensieri sono diventati persistenti, quando il sonno è diventato poco ristoratore, quando da calorosi sono diventati freddolosi; i gusti alimentari, le avversioni, i desideri, i traumi, i dispiaceri, gli incidenti, i lutti. Piano piano emerge spontaneamente e, in parte, guidato da domande neutre, un quadro chiaro e coerente di ciò che ad un certo punto si era guastato,  che sta emergendo per essere curato. Spesso la verità  che si manifesta è drammatica, la persona è colta dalla  consapevolezza della gravità della sua situazione. il primo colloquio può essere scioccante, ma anche  liberatorio. Quando ci ammaliamo in maniera così  grave, non  cogliamo subito il significato,  restiamo attonite confuse, non riusciamo a capacitarci del perché sia avvenuto proprio a noi. 

L’approccio omeopatico  con il suo interrogatorio specifico e puntuale inizia a mettere ordine,  a dare un senso alle vicissitudini che si sono susseguite e intrecciate prima che si arrivasse alla diagnosi di cancro al seno. La prescrizione del rimedio, la diagnosi omeopatica e la prognosi, comunque severa, spesso si discostano dalla visione oncologica troppe volte terroristica e con poche speranze.  

L’ascolto del proprio corpo e la valorizzazione dei sintomi soggettivi nell’approccio omeopatico è  un percorso di consapevolezza fondamentale. Ci sono donne che accettano l’intervento chirurgico, ma non la chemio né la radio, né la terapia ormonale. Non vogliono viverne gli effetti devastanti, non vogliono perdere i capelli, vogliono essere protagoniste nella loro malattia. Queste donne assumono il rimedio omeopatico in sostituzione, effettuano tutti i controlli oncologici e insieme ne gestiamo l’andamento. E’ sempre previsto un ripensamento qualora i dati oggettivi e soggettivi ci indichino di modificare il piano di cura.

Ci sono donne che fanno la chemio, la radio e la terapia ormonale: per loro diventa una sfida vincere sugli effetti tossici delle terapie. Anche in questo caso la cura omeopatica cerca di attenuare il più possibile gli effetti collaterali prima di intraprendere una vera e propria terapia costituzionale. Ci sono donne che dopo la prima o la seconda chemio sono così devastate che preferiscono morire di cancro piuttosto che subire gli effetti collaterali di queste terapie.  In questi casi il rimedio omeopatico ben scelto aiuta a ritrovare piano piano la fiducia e l’energia vitale per affrontare la lunga prova della malattia. Ci sono donne che non vogliono fare nemmeno l’intervento chirurgico, adducendo che non vogliono essere mutilate e dicono “piuttosto muoio”.

Nella mia esperienza il rimedio e l’approccio omeopatico portano vantaggi sostanziali alle donne ammalate di cancro al seno. Quando il quadro della paziente e il quadro del rimedio omeopatico sono coerenti la cura omeopatica ha alta probabilità di efficacia.  La qualità di vita e la “quantità” sono stimabili concretamente. Occorre avere il cuore aperto, la mente chiara, la conoscenza e la consapevolezza di essere uno strumento, un mezzo attraverso il quale la paziente può ritornare a sé e ritrovare il coraggio di sanare la sua vita.

Potete inviare i vostri commenti o raccontare la vostra esperienza.

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